Il mercato. Cosa ne pensano gli economisti politici?

14 Settembre 2015
|
0 Comments
|

Questa sezione di Economia Politica, affinché il nostro sia un percorso di apprendimento lineare, va letta passo per passo e, mettiamo per chiaro, che da aspiranti traders non dovreste andare alla ricerca esclusiva di lezioni, quanto imparare a ragionare. Nessuno vi spiegherà come fare trading ma dovrete essere voi ad avere le intuizioni e gli spunti giusti (e certamente, tra questi anche le lezioni, di cui ve ne mettiamo a disposizione alcune sul trading binario, sui Cdf, sul Forex) per cominciare a ragionare da soli. E’ quello che si fa anche in un percorso di formazione: si parte dall’indottrinamento scolastico per poi avanzare a quello universitario ma sin quando non si coltiva un proprio amore per la materia, e quello non ce lo può giudicare nessuno, non si diventerà mai nessuno di riguardo per quel campo. E non credete che tutti i grandi economisti siano tra gli illustri dell’economia: gli economisti sono quegli uomini assetati di sapere che ameranno fare una sola esperienza, quella dell’anima e della creatività. E tanto vale per il trading: la vostra ambizione dovrà essere quella di trovare il vostro approccio, poi verranno anche i guadagni. Passiamo, quindi, al mercato di cui vi abbiamo dato un assaggio anche negli articoli precedenti.

Oggi ci chiediamo come funziona il mercato. Negli articoli precedenti, vi abbiamo un po’ spaventato, vi è ceduto il terreno sotto i piedi perché avete pensato che tutte le nostre proposte di analisi tecnica per il forex in realtà non funzionano.

Ma trastullarsi con l’economia politica è pericoloso e dovete capire che il trading è comunque rischioso e non va preso mai sotto gamba. Prendete questo impegno con serietà, di certo con studio e dedizione ma sappiate che è meglio impiegare nel trading binario ciò che potete permettervi di perdere al massimo.

Ora, giusto per darvi un assaggio dell’economia politica, vi propongo un genio contemporaneo, il grande Paul Krugman, non certo apprezzato da tutti i suoi colleghi economisti. E’ un keynesiano. Qualcuno di voi certamente conoscerà cosa ha argomentato il grande John Maynard Keynes.

Chi è un keynesiano? Colui che non dà fiducia totale al mercato perché cerca di considerare il contributo irrinunciabile dei fattori, chiameremo così istituzionali: le cosiddette componenti “politiche” che fanno parte della politica economica. Ma keynes per dare linfa vitale al portato del suo pensiero deve mettere in crisi i postulati dell’economia classica e ci riesce degnamente. Così afferma nella “Teoria Generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”: “Il prevalere dell’idea che il risparmio e l’investimento presi nel loro significato genuino, possano differire l’uno dall’altro, credo debba spiegarsi mediante l’illusione ottica derivante dal considerare le relazioni fra un singolo depositante e la sua banca come operazioni unilaterali, invece di considerarle come operazioni bilaterali quali sono realmente”.

Molto è il gioco che ora viene fatto passare semplicemente per equazioni di contabilità nazionale per mostrare deduttivamente le relazioni che potevano sussistere fra le determinanti della Domanda e dell’Offerta. Keynes ha coniato pertanto un nuovo concetto: la propensione al consumo. E ciò ha creato la matematica keynesiana che ancora oggi fa impazzire molti studenti di Economia e Commercio alle prime armi con gli esami economici, al di là di quelli aziendali. Lì poi hanno fatto festa i neoclassici, reintroducendo la concezione dell’equilibrio del mercato, sino a diverse teorie sul sistema economico attinenti con le loro radici (la teoria dell’accumulazione di capitale applicata all’economia dello sviluppo moderna e così via).

Ma attenzione, l’economia keynesiana non ha nulla a che vedere con la statica comparata dell’equilibrio e non per nulla, anche se non sovvenzionate e quindi sperse tra filoni economici non dominanti soprattutto per la visione dell’Europa che si accosta al classico monetarismo con varianti neoclassiche, vi sono nuovi filoni di teoria economica che vogliono concepire la probabilità, dal punto di vista del Keynes e, state ben attenti, non la probabilità come siamo abituati ad intenderla, quella della concezione frequentista!

Keynes, poi, ci insegna un altro dettaglio che sicuramente avrete notato leggendo quanto da lui scritto: non prendiamo mai una grandezza reale coeteris paribus (a parità di) l’altra, ma teniamo conto dell’influenza reciproca perché questo cambia molto le nostre previsioni.

E torniamo nel trading:

  • non sempre sono convincenti gli utilizzi degli indicatori medie mobili perché si basano sull’osservazione “media” dei prezzi, tipica della statistica pura. Si pesano altri fattori ma mancano le premesse teoriche per poter fare una ponderazione discrezionale di rilievo che non serva soltanto a spostare il baricentro della distribuzione
  • dire che il dollaro si deprezzerà, nulla ci tange se l’euro parimenti si deprezzerà. L’eurodollaro è il pair più transato ma vi sono anche molte altre coppie forex in cui è il dollaro ad essere più forte e dominante sul mercato (ad es. rublo). Non partiamo mai in quinta ma fermiamoci un momento a ragionare.
  • La statica comparata non ci aiuta molto nei ragionamenti perché sono riduttivi e semplicistici rispetto alla realtà. Vedete, ad esempio, il noto Modello “Mundell e Fleming”, molto studiato nelle prime nozioni di Economia internazionale.

mundellfleming

Qui come si ragiona: ogni curva Is ed Lm rappresenta rispettivamente una sommatoria di fattori dal lato della Domanda e dell’Offerta di moneta e stiamo semplicemente constatando un equilibrio. Il buon Keynes, ormai nell’oltretomba, non può più fare da paciere tra i tanti filoni separatisti, nell’equilibrio e nel disequilibrio, e dobbiamo, pertanto, costruire tanti mondi astratti ed ipotetici che sfuggono dalla realtà economica. E ciò ci scontenta nel momento in cui arriviamo in materie applicate come quelle del trading perché ci siamo disabituati dall’astrarre, dal ragionare, dal dedurre e non facciamo altro che applicare concezioni già confezionate da statistici o matematici che non hanno necessariamente dimestichezza con il “caos” di mercato. La media, siamo sicuri, che è utile per fare le previsioni di mercato? Fin quando funziona sì. E se non funziona? Falsi segnali oppure non adeguatezza della capacità di cattura della media così costruita e necessità di cambiarne i parametri. E se dovremmo proprio cambiare metodo, costruendo nuove strutture astratte da sperimentare? Questo è il problema: l’economics ci ha fatto diventare degli scienziati applicati, disabituando i nuovi studiosi dal ragionare veramente con la realtà, con creatività. Dov’è la finanza creativa? Dobbiamo veramente accontentarci soltanto delle candele giapponesi?